

Approfondimenti
Non solo immigrazione.
I flussi migratori nell’Italia di oggi
di Enrica D’Acciò e Cristina Pizzolato

Ci sono 5 milioni di stranieri residenti in Italia. Ci sono 5 milioni di italiani residenti all’estero. È l’istantanea scattata da Enrico Pugliese, professore emerito dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza in merito al fenomeno emigratorio in Italia. Fenomeno quanto mai complesso, che deve essere analizzato in maniera comparata con il fenomeno dell’immigrazione perché, sostiene Pugliese, ‘non è un caso che l’ordine di grandezza sia lo stesso’. I 5 milioni di immigrati in arrivo sono frutto di quasi 40 anni di immigrazione: dai primi, risibili, numeri, ai numeri più consistenti degli ultimi anni. ‘Anche se’ ricorda Pugliese, ‘bisogna leggere i numeri con intelligenza. Magari negli ultimi anni sono aumentate le regolarizzazioni e sono diminuiti gli arrivi’.
Il dato sull’emigrazione, invece, è maturato in quasi 100 anni di emigrazione. ‘E dentro c’è di tutto, compresi i figli degli italiani residenti in Argentina, che hanno mantenuto la cittadinanza italiana’.
Volendo, però, focalizzare l’attenzione sugli ultimi anni, bisogna avviare l’analisi dalla fine degli anni ’90. ‘E’ allora che, per la prima volta, dal Sud si comincia nuovamente ad emigrare’. I numeri, inizialmente, non sono significativi ma dal 2008 i fenomeni emigratori fanno registrare una svolta, quantitativa e qualitativa. ‘Si tratta di un’emigrazione figlia della crisi, un ‘si salvi chi può’. Si tratta di un’emigrazione sensibilmente diversa da quella del secondo dopoguerra. ‘Alla fine degli anni ’40, abbiamo registrato un’emigrazione di massa, proletaria e popolare. Andavano via contadini, operai, manovali, per lo più uomini scarsamente scolarizzati dal Sud Italia, dal Friuli, dal Veneto e, in parte meno consistente, dall’Umbria’. Oggi, invece, l’emigrazione ha un volto completamente diverso e, paradossalmente, la regione da cui si emigra di più è la Lombardia. ‘Si tratta in realtà di una ‘nebulosa’ al cui interno troviamo situazioni, storie, vissuti diversi’. E anche una certa mitologia. ‘Per esempio, i giovani alternativi, che emigrano a Londra o a Berlino per ‘fare esperienza’. Accettano mini-job, imparano la lingua, poi magari si spostano da una capitale europea all’altra. Prossimi a questa categoria ci sono i cosiddetti ‘ex Bo’, figli della borghesia intellettuale di Bologna, e non solo, giovani cosmopoliti che vanno all’estero per cercare lavoro ma che, di fatto, avrebbero trovato lavoro anche a casa’. Queste due categorie ‘mitologiche’ sono, in termini numerici, assolutamente residuali. Ben più cospicuo è il numero di giovani che sono dovuti andar via perché, semplicemente, non c’erano alternative in Italia. ‘Si tratta di un’emigrazione proletaria, ma anche borghese, con un livello di scolarizzazione molto più alto che in passato’. Anche in questo caso, è necessario fare diversi distinguo: ‘Gli accademici, per esempio, i cosiddetti ‘cervelli in fuga’, giovani, brillanti e altamente scolarizzati costretti ad andar via per i ripetuti tagli alla ricerca, dal governo Monti in poi’. Ci sono poi i ‘reclutati’, ‘per lo più infermieri, medici, architetti che vengono ‘reclutati’ in Italia per andare poi a lavorare in Svizzera, in Germania e in Inghilterra, così come avveniva, negli anni ’50, con forme di reclutamento diretto della manodopera all’estero’. Infine, un’emigrazione proletaria, ‘composta di giovani che, indipendentemente dal loro titolo di studio, sono costretti ad accettare lavori di fascia bassa, perché non hanno altre risorse a cui attingere’. Ed è proprio qui che si misura la maggiore distanza rispetto all’emigrazione proletaria e popolare degli anni ’50. ‘In passato, chi lasciava il Sud per andare a fare l’operaio in Germania o in Inghilterra, guadagnava garanzie e prospettive di sviluppo. Oggi, invece, finiscono per trovare precarietà anche nei Paesi d’emigrazione’.
