

News dalle plenarie
I migranti, una risorsa nel Sud che invecchia.
Ma servono nuove policy
di Fabrizia Bagozzi

“Da ora in poi assisteremo al ribaltamento di un quadro rimasto a lungo stabile: il Mezzogiorno non è e non sarà più il serbatoio demografico e di forza lavoro del nostro paese, il luogo in cui la popolazione cresce di più e più velocemente in Italia. Nel Sud si fanno già, e si faranno progressivamente meno figli, anche rispetto al Nord, con conseguente processo di invecchiamento della popolazione. Da questo punto di vista, l’immigrazione dall’estero avrà un ruolo più importante rispetto al Centro-Nord, dove il fenomeno non è certo assente ma con un impatto minore. L’apporto dei migranti al Sud può dunque essere visto come un volano di riequilibrio demografico e di sviluppo”. A mettere in evidenza il modo in cui sta cambiando lo scenario demografico del Mezzogiorno, Corrado Bonifazi, Direttore dell’Istituto Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Cnr che, insieme a Delia La Rocca, Docente di diritto privato presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania, ha aperto la due giorni di riflessione e confronto fra le cinque regioni partner organizzata da Com.In.3.0 il 7 e 8 marzo scorso a Roma (“Integrare al Sud: sfide e opportunità per le regioni meridionali”). Un momento centrale per il Progetto, al quale hanno preso parte oltre 100 persone provenienti dai Gruppi di lavoro Locali dei territori regionali che, nei cinque Workshop della seconda giornata, si sono poi confrontate su temi decisivi per la governance delle politiche migratorie e dei processi di integrazione.
Persone in età lavorativa nel 2066: 40% in meno
Secondo dati e proiezioni Istat, ha spiegato Bonifazi, “nel 2066 il Mezzogiorno avrà una popolazione inferiore del 30%, il Nord del 10%. E le persone in età lavorativa al Sud diminuiranno del 40%, al Nord del 20%”. Nel 2050 gli stranieri cominceranno a superare gli italiani, sempre meno giovani, se si pensa che nel 2066 oltre un terzo della popolazione meridionale avrà più di 65 anni (il 36% contro il 32% del Centro Nord). E ciò è dovuto non solo alle migrazioni interne verso le regioni centrosettentrionali, ma anche a indici riproduttivi più bassi di quelli del Nord. Perchè gli stranieri, che hanno un tasso di fecondità più alto, sono più presenti al Nord, ma anche perchè in Italia in genere, ma in particolare al Sud, vale ancora la cosiddetta “trappola della fecondità”: un sistema di servizi non a misura di maternità rende più difficile la scelta di avere un figlio, cosa che per una donna può significare l’uscita dal mercato del lavoro. “Un processo – ha concluso – che si realizza nell’area economicamente e produttivamente più debole del paese”.
Non più emergenza, nè transitorietà
E proprio perchè questo è il quadro che va delineandosi, ha commentato Delia La Rocca, “diventa necessario ripensare un modello di sviluppo del Mezzogiorno che tenga conto dei mutamenti demografici in corso e ripensare anche le politiche migratorie che si mettono in campo, recuperando la memoria sul fatto che siamo stati e siamo ancora un paese di emigrazione, se pensiamo a quanti dei nostri ragazzi oggi decidono di andare all’estero”.
Il punto, secondo La Rocca, è “sciogliere il conflitto potenziale fra immigrazione vista come emergenza e questione securitaria e il lavoro per l’integrazione”. L’approccio emergenziale porta con sè una dimensione di transitorietà degli interventi “che deve essere superata puntando, oltre alla prima e seconda accoglienza, a politiche di integrazione di lungo periodo nelle quali si potenzi la collaborazione fra i vari soggetti, istituzionali e non: fra Stato, in particolare il Ministero dell’Interno, Regioni, che hanno compiti di gran rilevanza sull’integrazione – e penso a istruzione, assistenza sanitaria e sociale, diritti – e Terzo settore”. Un maggiore coordinamento e distribuzione delle competenze a cui associare “il superamento della logica della frammentazione delle fonti di finanziamento dei progetti e la continuità di quelli che hanno mostrato di produrre risultati. In questo modo non si disperdono, ma si valorizzano le competenze costruite nell’ambito di quei progetti”. In tale prospettiva, ha concluso La Rocca “è decisivo ragionare in modo sempre più stringente su un ciclo integrato di interventi su tutti i livelli”. Stato, Regione, Comuni, Terzo Settore. In definitiva, “fare rete, come sta facendo Com.In”.
“Integrare al sud: sfide e opportunità per le regioni meridionali”. Speciale 7/8 marzo 2018. Su www.integrazione.org l’evento per immagini: fotografie, interviste, rassegna stampa
